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Don Gallo


Era la prima volta che incontravo Don Gallo. Stava celebrando la messa, ho aspettato nel suo ufficio dietro la navata della chiesa di San Benedetto al Porto, dove era stato accolto dopo l'esilio dalla chiesa del Carmine. Ero stato introdotto da Lilly, la sua fedele segretaria. L'ho aspettato seduto davanti alla sua scrivania, ingombra di volumi di ogni genere. Si respirava un buon odore di polvere di libri, legno antico, incenso e toscano. Ho preparato la mia Leica M6, calcolato approsimamente l'esposizione (non vi erano tutti gli automatismi a cui siamo abituati ora, bisognava bressonianamente prepararsi prima per non perdere l' "attimo decisivo").

Lui è entrato, sapeva che c'ero, avevamo un appuntamento: "Belìn Ansaldi finalmente ci conosciamo".

Era avvolto in un mantello nero, quello che usava per celebrare. Sembrava Batman.

Si è seduto e ha riacceso il toscano che lo aspettava in un posacenere sulla scrivania.

Ho messo sul suo tavolo una fotografia che avevo scattato a Cristiano De André, una comune conoscenza. E da lì ha iniziato a parlare, con la sua voce rauca e decisa, e a gesticolare.

E allora ho scattato


(Pellicola, poi sviluppata in una soluzione fatta da me a base di pirocatechina. Per questo ha quella intensa e fine grana)

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